In questa sezione troverete informazioni che riguardano alcune novità normative, alcune sentenze e decisioni di Tribunali, Corti di Appello e della Corte di Cassazione che presentano profili di particolare rilevanza.

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA E RECIPROCITA' DI OFFESE E VIOLENZE 

Cassazione penale, Sez. 6,  Sentenza n. 4935 del 23/01/2019 Cc., dep. 31/01/2019, Rv. 274617 - 01

 

REATI CONTRO LA FAMIGLIA - DELITTI CONTRO L'ASSISTENZA FAMILIARE - MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA - ELEMENTO OGGETTIVO (MATERIALE) - Comportamento abitualmente vessatorio – Nozione – Offese e violenze reciproche – Reato – Configurabilità – Esclusione.

 

Secondo la Suprema Corte di Cassazione in tema di maltrattamenti in famiglia, integra gli estremi del reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante, che non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti.

 

Diffamazione a mezzo stampa - Critiche all’operato del pubblico ministero nel corso delle indagini giudiziarie (Cass. penale, Sez. 5, Ord. n. 5638/2015)

Recentemente la Corte di Cassazione si è occupata di un caso giudiziario in cui un giornalista ha pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale degli articoli dal contenuto pretesamente offensivo della reputazione di un Pubblico Ministero titolare di un’indagine, contenente, in particolare, affermazioni idonee a far ritenere gravemente negligente il comportamento del magistrato inquirente e a presentare come solerte e preciso il lavoro della polizia, pigro e superficiale invece quello del p.m., sì da costituire un’oggettiva occasione di reiterazione del delitto.

La Corte ha affermato che l’esercizio del diritto di critica giudiziaria non deve trasmodare nel dileggio e nella gratuita attribuzione di malafede a chi conduce le indagini, avendo anche il magistrato del pubblico ministero diritto alla tutela della propria reputazione e alla intangibilità della propria sfera di onorabilità.

Afferma, al tempo stesso, la Corte che ogni provvedimento giudiziario può essere oggetto di critica anche aspra, purché questa non si risolva in un attacco alla stima di cui gode il soggetto criticato.

Nel caso di specie, la conclusione cui è pervenuta la Corte è stata quella di ritenere non esorbitante dal legittimo esercizio del diritto di critica la notizia riportata da un giornalista che, senza travisare i fatti nel loro nucleo essenziale, aveva censurato l’operato del pubblico ministero, che non aveva richiesto alcuna misura cautelare nei confronti di un uomo indagato per l’omicidio di una donna, il quale successivamente si era reso responsabile della morte della fidanzata.

In estrema sintesi, pur riconoscendosi alla critica una natura soggettiva e opinabile, è necessario, perché il giornalista possa essere considerato esente da responsabilità penale, che la notizia diffusa riguardi fatti di rilevanza sociale, descritti con una narrazione e con espressioni corrette e che, comunque, le critiche trovino riscontro in una corretta e veritiera riproduzione della realtà fattuale. Pertanto, non si può e, anzi, non si deve mai pervenire da parte del giornalista a una ricostruzione volontariamente distorta della realtà, preordinata esclusivamente ad attirare l’attenzione negativa dei lettori sulla persona criticata.

Solo a queste condizioni si può anche esprimere una polemica intensa su temi di rilevanza sociale, senza però attribuire gratuitamente mala fede a chi conduce le indagini giudiziarie, e salva restando comunque la possibilità di criticare ogni provvedimento giudiziario, anche aspramente, in ragione dell’opinabilità degli argomenti a sostegno, purché la critica non si risolva in un attacco alla reputazione e in una lesione alla stima di cui gode il soggetto criticato, penalmente illecite dovendo considerarsi quelle critiche virulente che comportino il dileggio dell’autore di un provvedimento giudiziario.

Nel caso di specie, come detto, è stato escluso il carattere diffamatorio degli articoli giornalistici, che, valutati nel loro portato complessivo, non contenevano travisamenti o alterazioni capziose del fatto.

Responsabilità civile dei magistrati

Se un cittadino avvia una causa di responsabilità civile nei confronti dello Stato, lamentando che la condotta professionale di un dato giudice in un giudizio che lo riguarda gli ha procurato un danno ingiusto, quello stesso giudice, in assenza di elementi ulteriori rispetto alla “pendenza della causa risarcitoria”, ad esempio di “grave inimicizia” o di “interesse personale e diretto nella causa” da parte dello stesso giudice, deve ritenersi capace di decidere in maniera imparziale un eventuale altro giudizio che riguarda lo stesso cittadino, senza che ricorra un’ipotesi di astensione o ricusazione come per legge.

Anche nel caso di intervento del magistrato nel processo civile che la parte promuove ex lege 117/1988 , si deve escludere che si instauri un rapporto diretto parte/magistrato che possa condurre alla qualificazione del secondo in termini di anche solo potenziale debitore della prima. Infatti, non solo la qualità di debitore si assume nel momento in cui viene riconosciuta la compiuta fondatezza della pretesa risarcitoria, e non prima, ma il magistrato la cui condotta professionale è valutata nel processo civile non potrà mai assumere la qualità di debitore della parte privata.

Cassazione civile, Sez. U, Ordinanza n. 13018 del 23-06-2015 

PROCEDIMENTO CIVILE – RICUSAZIONE E ASTENSIONE DEL GIUDICE – GIUDIZIO DI RESPONSABILITÀ AI SENSI DELLA LEGGE N. 117 DEL 1988 (RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI) – RILEVANZA – ESCLUSIONE

 

In tema di ricusazione del giudice, non è "causa pendente" tra ricusato e ricusante, ai sensi dell'art. 51, n. 3, cod. proc. civ., il giudizio di responsabilità di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, atteso che il magistrato non assume mai la qualità di debitore di chi abbia proposto la relativa domanda, questa potendo essere rivolta, anche dopo la legge 27 febbraio 2015, n. 18, nei soli confronti dello Stato.

PENALE - Riesame e diritto al contraddittorio

Il giudice del riesame decide anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza, assicurando il contraddittorio sul contenuto indiziario e sul fondamento dei presupposti cautelari, nel rispetto del diritto di difesa dell'indagato, sicché il soggetto interessato deve essere posto nelle condizioni di difendersi concretamente attraverso la conoscenza degli atti. Tale conoscenza è assicurata dalla possibilità che è riconosciuta al difensore di esaminare gli atti depositati nella cancelleria del giudice a quo e del giudice del riesame, funzionale alla sua partecipazione informata alla discussione davanti al tribunale.

Allora, la produzione di elementi a carico dell'indagato direttamente all'udienza incide sul diritto di difesa, configurando una causa di nullità ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all'assistenza dell'indagato, in tutti i casi in cui questi non sia messo nelle condizioni di difendersi concretamente. In presenza di tali produzioni il tribunale del riesame deve assicurare il rispetto pieno del contraddittorio tra le parti, assegnando all'indagato un congruo termine a difesa.

Cassazione penale, Sez. 3, Sentenza n. 22137 del 06-05-2015

MISURE CAUTELARI REALI – RIESAME – DEPOSITO DI NUOVI ELEMENTI DI PROVA ALL'UDIENZA DA PARTE DEL PM  – TERMINE A DIFESA – MANCATA ASSEGNAZIONE – NULLITÀ

 

In tema di impugnazioni relative a misure cautelari reali, il pubblico ministero può introdurre all'udienza di riesame nuovi elementi probatori a carico, ma il tribunale, al fine di assicurare la piena applicazione del contraddittorio, deve assegnare all'indagato un congruo termine a difesa, in difetto del quale si configura un'ipotesi di nullità ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all'assistenza del medesimo.

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