In questa sezione troverete alcune massime e estratti di sentenze relative a contenziosi ritenuti di particolare interesse e di attualità, volendosi intendere per specializzazione un settore in cui si è maturata particolare esperienza in virtù dei contenziosi tratatti, delle pubblicazioni fatte o di studi e/o corsi di formazione seguiti.
Da una recente sentenza del Tribunale di Palermo, Sezione Lavoro e Previdenza, dott. Giovanni Lentini, n. 316/2025, che ha accolto un nostro ricorso:
Sostiene l’Istituto resistente che l’interpretazione letterale corretta delle norme dettate in tema di periodi contributivi maturati presso diversi enti gestori della posizione previdenziale
induce ad escludere la possibilità della ricongiunzione, limitandosi infatti a prevedere gli istituti del cumulo e della totalizzazione.
E che, sulla scorta di tale principio, la prassi consolidata dell’Istituto è quella della reiezione del ricorso.
Viceversa, come del resto dedotto dal ricorrente e ben conosciuto dall’Istituto medesimo, la Suprema Corte con sentenza 26039 del 15.10.2019 ha già chiarito, rigettando il ricorso dell’INPS avverso
la decisione (confermativa) della Corte d’Appello di Ancona che: “Con l'unico motivo, l'Istituto ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 45 del 1990, art. 1, comma
2, e L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26 e ss., D.Lgs. n. 184 del 1997, art. 1, comma 1, art. 15 preleggi e L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 19, lamenta la non conformità a diritto del
pronunciamento della Corte territoriale favorevole al riconoscimento della facoltà di valersi della ricongiunzione dei contributi, e contrapponendovi una interpretazione della norma in questione per
cui la facoltà non sarebbe riconosciuta laddove il trattamento pensionistico dell'interessato debba essere calcolato utilizzando il solo metodo contributivo, operando invece i diversi istituti del
cumulo e della totalizzazione.
Il motivo deve ritenersi infondato alla luce della pronunzia della Corte costituzionale n. 61 del 5 marzo 1999, [ Sono costituzionalmente illegittimi - per contrasto con gli art. 2, 3, 38 cost. - gli
art. 1 e 2, l. 5 marzo 1990 n. 45, recanti norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti, nella parte in cui non prevedono, in favore
dell'assicurato che non abbia maturato il diritto ad un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni nelle quali è, o è stato, iscritto, in alternativa alla ricongiunzione, il diritto di
avvalersi dei periodi assicurativi pregressi nei limiti e secondo i principi indicati in motivazione.] che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 2,3 e 38 Cost., la
L. n. 45 del 1990, artt. 1 e 2, nella parte in cui non prevedono, in favore dell'assicurato che non abbia maturato il diritto ad un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni nelle quali è, o
è stato, iscritto) il diritto di avvalersi dei periodi assicurativi pregressi in termini tali per cui la ricongiunzione, più vantaggiosa, ma anche più costosa per l'assicurato, possa porsi come mera
opzione rispetto ad altri istituti che consentano il conseguimento del medesimo obiettivo dell'utilizzo della contribuzione, un'interpretazione dell'art. 1, comma 2, della legge predetta che rifletta
l'assenza di limiti, né quelli che discenderebbero dalla disomogeneità del metodo di calcolo, né quelli che deriverebbero dal preteso allineamento alla previsione di cui allo stesso art. 1, comma 1,
che ammetterebbe la ricongiunzione solo "in entrata" della contribuzione accreditata presso le casse per i liberi professionisti, alla facoltà di avvalersi di tale istituto anche in alternativa agli
istituti ulteriori e distinti del cumulo e della totalizzazione”.
A tale decisione della Suprema Corte (confermata poi dalla sentenza 3635 del 7.2.2023) e preceduta da numerose decisioni di merito si è sostanzialmente uniformata la giurisprudenza di merito ben
indicata dal ricorrente (cfr. Corte d’Appello di Milano n. 1623/2021, Trib. di Padova n. 538/2022; Trib. di Milano n. 3344/2023, Corte d’Appello di Milano 3997/2023; Tribunale di Palermo 4788/2024) e
ben conosciuta dal resistente.
Sulla scorta della dichiarazione di incostituzionalità della norma invocata dal resistente, nella parte in cui non prevede espressamente la facoltà della ricongiunzione per i liberi professionisti
che ne vogliano usufruire, nonché sulla scorta delle copiose pronunce già rese in materia, non c’è alcuna ragione, - di fatto o di diritto – né alcuna altra e diversa circostanza sollevata dal
resistente per discostarsi da tale orientamento.
Il ricorso va dunque accolto.
Ordinanza del Tribunale di Agrigento, dott. E. Legnini, del 23/08/2024
Devono essere rimosse da una piattaforma web per la prenotazione dei servizi delle strutture ricettive una recensione dal contenuto diffamatorio e la relativa valutazione negativa con il punteggio di 1,0 (uno) su una scala da uno a dieci pubblicate da un utente?
Nel caso specifico il gestore della struttura ricettiva ha esposto che la recensione sarebbe stata pubblicata in seguito ad un diverbio avuto con gli ospiti-recensori ed in particolare con uno di essi che, incollerito per il ritardo del gestore della struttura nell’accoglienza, lo avrebbe addirittura afferrato per le spalle, scuotendolo violentemente ed urlandole contro. La lite si sarebbe però in seguito ricomposta tanto che il gestore avrebbe addirittura offerto un pasto agli ospiti presso un noto ristorante per il disagio subìto. Ciò nondimeno, il gestore ha lamentato che la recensione negativa costituirebbe una forma di ritorsione per l’accaduto.
Incidentalmente, si rileva che si è affermato nella giurisprudenza di merito che, per stabilire l’illiceità del contenuto pubblicato on line su piattaforme del genere di quella in considerazione, occorre verificare la pertinenza e la continenza dello stesso contenuto in relazione al tema di discussione, ordinando eventualmente al provider la rimozione delle informazioni diffamatorie e non veritiere (Tribunale - Roma, 21/09/2020, n. 17278), alla luce dei superiori criteri in funzione del necessario bilanciamento tra il diritto di critica e la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto alla tutela della dignità personale del destinatario dei contenuti.
Ebbene, il Tribunale nel caso di specie ha ritenuto che non vi fosse un obbligo di rimozione del contenuto denunciato dal gestore, non ricorrendo il superamento dei limiti della pertinenza e della continenza che soli avrebbero imposto l’intervento di rimozione.
La recensione pubblicata è risultata infatti pertinente con il contesto nel quale era collocata, riferendosi in modo specifico all’ospitalità ricevuta presso la struttura dal gestore, ritenuta non soddisfacente da parte dell’utente.
La recensione si colloca, inoltre, nei limiti della continenza ed infatti, sotto un primo profilo, si sofferma sugli aspetti positivi della struttura, sottolineandosi la bellezza del luogo in cui sorge e dell’ambiente circostante; l’ulteriore contenuto in contestazione esprimeva, evidentemente, l’insoddisfazione degli ospiti per il servizio ricevuto ed in particolare la scarsa professionalità che, nella prospettiva dei clienti, sarebbe stata mostrata dal gestore della struttura, la difficoltà nel rintracciare l’edificio e nel porsi in contatto con il gestore al momento dell’arrivo, l’aspetto delle decorazioni, l’<<ignoranza>> del personale.
I toni della recensione sono stati ritenuti dal Tribunale certamente aspri ma pur sempre nei limiti della continenza, anche tenuto conto del contesto in cui è stata pubblicata la recensione (un servizio on line di prenotazione e pubblicizzazione delle strutture ricettive) caratterizzato da un’ampia eterogeneità nello stile dei commenti, non provenienti da recensori qualificati ma dal pubblico e, in particolare, dalla generalità dei fruitori dei servizi offerti.
Neppure può condividersi la doglianza del gestore nella parte in cui ha ritenuto eccessiva la carica offensiva dei termini utilizzati in lingua polacca “gospodyn” e “wtopa”, tradotti come “massaie” e “merda”. La traduzione fornita dal gestore, infatti, corredata da una perizia di parte priva di valore probatorio e dotata di valore solo indiziario, non corrisponde alla traduzione presente sul portale gestito dalla società ricorrente che fa corrispondere ai termini in questione, le parole italiane “donne delle pulizie” e “schifezza”; ma, neppure tale traduzione corrisponde a quella fornita dall’utente, che si è avvalso del servizio di traduzione, costituente una fonte aperta e automatica di traduzioni, liberamente consultabile, che fa corrispondere a tali parole i termini italiani “hostess” “governanti” e “schifezza”. Si tratta, all’evidenza, di termini suscettibili di traduzioni diverse da quelle fornite dalla parte ricorrente e connotate da una significativa carica negativa, ma non trasmodanti – secondo l’assunto del Tribunale – nell’offesa gratuita e volgare proposta dal gestore.
In definitiva, la recensione in contestazione, che ha rappresentato un’esperienza vissuta come fortemente negativa ed è caratterizzata da un’aspra critica del servizio ricevuto, a giudizio del Tribunale, non consente di ritenere superati i limiti della pertinenza e della continenza che soli avrebbero consentito l’intervento di rimozione invocato.
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